Competenze trasversali? No, grazie!
Il tema delle competenze trasversali o soft skills, che dir si voglia, è molto ricorrente nei testi, nei convegni, nei corsi di formazione aziendale, nella ricerca e nei discorsi di qualsiasi persona si occupi a vario titolo di Risorse Umane cioè, come più ci piace chiamarle, di Persone nelle organizzazioni.
A volte la sfida dello sviluppo si vince con progetti concreti ed efficaci, altre volte ci troviamo di fronte a tentativi meno riusciti. Ma il tema è molto centrale e schiere di consulenti, coach, formatori, HR manager, specialisti di funzione si arrovellano giustamente per scegliere se sia più efficace un outdoor training o un progetto di coaching, un team cooking o un team building tradizionale. E questo, se è vero per quanto riguarda l’aspetto dello sviluppo delle competenze, nella valutazione delle persone già inserite in azienda o nella selezione di nuove risorse da inserire nell’organizzazione è ugualmente strategico. Anche perché una selezione sbagliata costa e tanto.
Fin qui tutto normale, in fondo è esattamente quello che accade in qualsiasi comunità professionale. Quello che distingue il tema delle competenze trasversali da altri, è che in alcuni contesti la loro strategicità e a volte la loro stessa esistenza come categoria concettuale, è inesistente; le soft skills, nostro pane quotidiano, sono come alcuni organismi che fuori dal proprio habitat non sopravvivono o meglio, non vengono riconosciute e prese in considerazione.
Qualche esempio? La scuola in primis, come ampiamente fotografato da Roger Abravanel nel suo ultimo libro La Ricreazione non è finita, ma non sono da meno Università e addirittura alcuni Master. In questi ambiti parlare di team working, leadership, orientamento all’obiettivo è perlomeno raro. Far sperimentare gli allievi per il potenziamento di tali skills, rarissimo.
Andando avanti nell’analisi la situazione non cambia, anzi. Medici, avvocati, notai, architetti investono pochissimo nel potenziamento e nell’analisi delle proprie competenze traversali (quanto servirebbero corsi di comunicazione per alcuni medici?).
Nei concorsi pubblici, gli aspetti della personalità rilevanti per i comportamenti organizzativi non hanno alcun peso nella valutazione, nella quale conta unicamente il sapere, la nozione. Se un magistrato poi è poco dotato di capacità di analisi o di gestione dello stress non importa… e quanti professori universitari avrebbero bisogno di un vigoroso corso in public speaking?
È come se fuori i cancelli delle aziende il tema delle competenze trasversali svanisse nel nulla.
Eppure a tutti i manager che ho incontrato quando ho chiesto loro quali siano stati gli elementi che li hanno aiutati nella propria carriera, nella stragrande maggioranza dei casi non mi hanno parlato di tecnicismi, ma di orientamento al risultato, leadership, resilienza, coraggio, decision making, problem solving, intelligenza emotiva.
Con questa riflessione ovviamente non voglio in alcun modo sminuire l’importanza dello studio, dello sviluppo tecnico, del know how distintivo, ma semplicemente affermare che esiste anche altro come sfera complementare, ma necessaria.
E allora esportiamo il valore delle competenze trasversali negli ambienti ancora tiepidi e distanti: nelle scuole, negli ospedali, nella Pubblica Amministrazione, nelle Università, nella Associazioni, dovunque ci siano persone che lavorano.
“Chi si occupa di HR fa il mestiere più bello del mondo: migliora la vita delle persone e delle organizzazioni.”
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